Incisioni

Descrizione della tecnica

La tecnica della Calcografia

(dal greco calcos: rame – grafo: scrivo, incido)
La calcografia, o più comunemente incisione, prende il nome dalle lastre di rame usate dai primi incisori, mentre oggi sono diffuse anche lastre in zinco, benché il materiale migliore, proprio per la sua maggiore durezza, sia ancora il rame. L’incisione calcografica si divide, a seconda della tecnica usata per incidere la lastra, in due procedimenti fondamentali.
Procedimento Diretto: la matrice viene incisa direttamente dall’artista con strumenti idonei a scalfire il metallo, senza mediazioni chimiche. Sono tecniche dirette il bulino, la puntasecca, la maniera nera, il punzone.
Procedimento Indiretto: la matrice viene incisa, dopo opportune preparazioni, dall’azione “mordente” dell’acido in cui viene immersa, e non direttamente dalla mano dell’artista. Sono tecniche indirette principalmente l’acquaforte, l’acquatinta, la vernice molle.

La Stampa di una calcografia

La stampa di una matrice calcografica è quella che implica un maggior lavoro manuale. Si divide in tre fasi: inchiostratura, pulitura, stampa al torchio e tutte e tre vengono ripetute ad ogni copia.
INCHIOSTRATURA: consiste nel far penetrare bene l’inchiostro nei segni incisi, a questo scopo si usa un inchiostro molto fluido distribuito abbondantemente, con una piccola spatola, su tutta la lastra, cercando di farlo penetrare in tutti i segni incisi.
PULITURA: consiste nel pulire tutta la superficie della lastra, senza però togliere l’inchiostro dai segni incisi. Lo stampatore usa garze, fogli di carta velina ed anche il palmo della mano. A seconda del risultato che si vuole ottenere si possono lasciare zone leggermente velate o pulire la superficie della lastra finché non risulta lucida.

STAMPA: viene effettuata con un apposito torchio detto appunto “calcografico”. La lastra viene collocata sul piano del torchio e le viene sovrapposto il foglio di carta umido e quindi un feltro di ammorbidimento. Il tutto viene fatto passare fra due cilindri in pressione tra loro che spingono la carta a raccogliere l’inchiostro dentro i segni incisi.
Le carte usate in calcografia, per riuscire, sotto pressione, a raccogliere l’inchiostro dentro a segni anche sottilissimi, sono spesso ancora fabbricate a mano da stracci di cotone. Devono essere piuttosto spesse, contenere pochissima colla, ma devono essere nello stesso tempo resistenti per reggere senza strappi alla pressione del torchio. Inoltre vengono inumidite prima della stampa in modo da farne gonfiare le fibre che così raccoglieranno meglio l’inchiostro dall’incavo dei segni.

L’acquaforte

A differenza dei procedimenti diretti, ove si incide direttamente sulla lastra, nell’acquaforte l’incisione avviene per mezzo di un acido, solitamente l’acido nitrico (chiamato nel Medioevo aqua fortis appunto), detto “mordente”. Si fa in modo che questo entri in contatto con la lastra solo in alcuni punti, mentre le altri parti rimangono protette da una vernice, sicché alla fine, rimossa la vernice protettiva, la lastra risulta incisa solo nei punti non protetti. Per fare un’acquaforte la lastra viene quindi inizialmente protetta da un sottile strato di cera o di vernice idonea. L’artista “disegna” con una punta acuminata asportando la cera e scoprendo così di nuovo il metallo sottostante. Terminata questa fase la lastra viene immersa in acido per un tempo più o meno lungo, a seconda che si vogliano ottenere segni più o meno profondi. In questa fase, detta “morsura”, l’acido, penetrando solo dove è stata asportata la cera, corrode la lastra incidendola. I segni possono essere sottoposti a tempi di morsura diversi, in modo da ottenere profondità diverse, e quindi diverse intensità in fase di stampa. In genere l’acido utilizzato è sempre molto diluito per evitare che, essendo troppo forte, agisca, anziché verticalmente, orizzontalmente allargando i segni del disegno. Infine durante la morsura in acido nitrico si può notare la formazione di gas evidenziata dal formarsi in corrispondenza dei tratti intagliati di piccole bolle. Queste devono essere asportate continuamente perché arresterebbero l’azione dell’acido proteggendo il metallo nelle zone in cui si sono formate. Terminate le varie morsure si lava via la cera residua e si procede alla stampa.
Con l’acquaforte si possono ottenere sia segni nitidi e sottilissimi, sia segni larghi e profondi. L’effetto d’insieme è paragonabile a quello di un disegno a china, con tratti nitidi e precisi.
Per la natura stessa di questa tecnica, che permette all’incisore di tracciare velocemente la propria composizione sopra la lastra verniciata, apportando anche correzioni e modifiche, l’acquaforte ha segnato l’inizio del periodo di maggiore sviluppo e diffusione dell’incisione calcografica che resta tuttora la tecnica più diffusa ed utilizzata.

L’acquatinta

Anche in questa tecnica la matrice metallica viene incisa dall’azione dell’acido ma, a differenza dell’acquaforte, la preparazione della lastra è molto più complessa e delicata. Questa viene infatti ricoperta con sostanze cristalline (per lo più polveri grasse e cerose come la colofonia – di origine vegetale – o il bitume di Giudea – di origine minerale -) distribuite in modo omogeneo sulla parte interessata della lastra. In seguito la matrice viene scaldata per favorirne l’adesione, la polvere infatti fonde e aderisce alla superficie proteggendola in modo puntiforme. Con un pennello e della vernice coprente si lavorano le parti che si vogliono lasciare bianche alla stampa e si immerge poi la lastra nell’acido. Questo penetrerà solo tra una particella e l’altra della copertura puntiforme provocando una “granitura” (una fitta trama di punti distribuiti casualmente) del metallo molto efficace per ottenere effetti di chiaroscuro, ombreggiature e mezzitoni.
Una lastra incisa all’acquatinta mostra sul foglio una retinatura particolare e inconfondibile, costituita da un alternarsi omogeneo, ma casuale, di punti irregolari.
E’ una tecnica quindi utilizzata per creare fondi o riempimenti omogenei oppure ombre e comunque quasi sempre combinata con l’acquaforte. Verso la fine del XVIII secolo ha fatto largo uso dell’acquatinta Goya, egli è stato infatti un superbo interprete delle potenzialità espressive di questa tecnica, dando luogo anche a stampe ove le superfici sono trattate esclusivamente con questa tecnica.
La difficoltà sta nel fatto che per ottenere una granitura omogenea è importante una distribuzione uniforme della polvere. Ciò si ottiene tramite una cassetta per acquatinta sul fondo della quale si pone la polvere. Immettendo con forza dell’aria dentro la scatola si forma una nuvola che ricade lentamente distribuendosi in modo uniforme.

La Vernice Molle o Ceramolle

La vernice molle (detta anche ceramolle) si usa quando si desiderano ottenere segni dai confini indeterminati e sfumati, simili al pastello o a quelli lasciati da una matita o da un carboncino su una carta ruvida. Per ottenere questi effetti si usa coprire la lastra non con la normale vernice utilizzata per l’acquaforte, ma con un impasto speciale più tenero, sopra al quale si applica un foglio, su cui l’artista lavora. Questi infatti disegna liberamente sul foglio con una matita. Terminata l’opera, il foglio viene sollevato e il suo distacco dalla lastra comporta l’asportazione anche dell’impasto in corrispondenza dei segni tracciati, dove la vernice rimane attaccata al foglio. A questo punto si procede come per le altre tecniche di tipo indiretto. La ceramolle si è diffusa molto nel Settecento in ragione degli effetti pittorici che era in grado di dare. Due sono in particolare i tipi di segno di questa tecnica: uno granuloso, che imita quello ordinariamente lasciato da una matita, e uno più morbido e pastoso, che richiama lo sfumato che si può ottenere con un pastello.

Puntasecca

Per questa tecnica l’artista utilizza un strumento, costituito da una sottile punta d’acciaio o di diamante, e, come una matita, incide il metallo con un leggero solco. L’incisione a puntasecca produce una lastra per la stampa calcografica (calcografia); come l’incisione al bulino, è un metodo di incisione diretto, cioè senza l’ausilio di acidi mordenti. In alcuni casi è utilizzata per rinforzare determinate parti dell’incisione al bulino. Questa tecnica è apparentemente di più facile accesso rispetto all’acquaforte, ma in realtà necessita di una grandissima abilità da parte del disegnatore.